giovedì 5 marzo 2009

Crisi, aziende e banche

Due imprenditori lucani hanno inviato una lettera a "Pronto Gazzetta", rubrica che raccoglie le denunce dei lettori de La Gazzetta del Mezzogiorno, per raccontare una storia nella quale sicuramente molte altre aziende si potrebbero riconoscere.

Di seguito il testo integrale

Il Sud che non cresce e che non crescerà mai, se non cambia il sistema di accesso al credito. Siamo due artigiani della categoria piccole e medie imprese della provincia di Matera, vi raccontiamo la nostra storia in breve. Dall’età di 14 anni abbiamo inziato a lavorare da apprendisti, ad imparare il mestiere e, negli anni ‘80, decidemmo di intraprendere un’attività in proprio. Abbiamo acquistato i macchinari ed attrezzature con cambiali, le abbiamo onorate e lavoravamo, consegnavamo i prodotti finiti con l’autovettura con su il portabagagli. Poi, con l’incremento del lavoro, era scomodo e decidemmo di acquistare un furgone cassonato. Andammo in una banca per chiedere un finanziamento, ma ci chiesero delle garanzie («portate i vostri genitori a firmare»), ma essendo figli di operai e con casa popolare non riscattata, non si poteva fare niente.

Andammo da un concessionario Fiat, chiedemmo quanto costava il furgone e decidemmo di mettere da parte la cifra, e raccolti i soldi, lo comprammo in contanti. Pagate attrezzature, macchinari, e furgone eravamo sempre senza liquidità. Grazie a Dio si lavorava e iniziammo ad assumere qualche apprendista, poi operai ed a realizzare opere importanti. Lavoravamo con privati ed enti. Eravamo una ditta seria ed affidabile. Purtroppo, quando si inizia a crescere, con le banche, non puoi non avere a che fare. Andammo a chiedere un fido ma ci risposero che la pratica veniva accolta solo se, come per il furgone, c’erano dei garanti. Noi eravamo giovani e lavoravamo in locali in fitto e la banca non poteva aiutarci.

Prima degli anni 90, ci siamo sposati, abbiamo creato famiglie, e con tanti sacrifici abbiamo comperato casa, anche con l’aiuto dei nostri genitori. Siamo ritornati in banca, e allora la richiesta di fido è stata accettata, perché la nostre firme avevano acquistato valore. L’uso del fido era utilizzato per volano all’attività, per scadenze non rinviabili o per ritardati incassi o per pagare i dipendenti. Si lavorava e si cresceva, decidemmo di realizzare un opificio. Nei primi anni 2000 siamo riusciti a realizzarlo e ad assumere 8 dipendenti, con l’impiego di tutte le nostre risorse e con un mutuo ipotecario di 1/5 del valore dell’immobile garantito da un Consorzio di garanzia. Alla banca avevamo chiesto un mutuo di almeno 1/4 del valore dell’immobile, per avere un po’ di liquidità, ma la banca ci deliberò solo 1/5, e comunque fummo costretti ad accettare.

Quindi con le attrezzature, i macchinari, il furgone, l’opificio, i dipendenti quando siamo ripartiti eravamo come un aeroplano senza carburante. Però con la forza delle braccia e dell’intelligenza, andavamo avanti e lavoravamo tutti. Purtroppo, con la crisi, abbiamo utilizzato tutte le nostre risorse e fidi bancari per onorare i pagamenti dei dipendenti. Arrivati, come si dice, «alla punta» siamo ritornati in banca per chiedere l’aumento del fido o del mutuo, anche con ipoteca di secondo grado, tenendo presente che le rate mensili erano in regola, ma la banca non ci ha concesso niente. Interpellate altre banche locali, ci hanno risposto che è più facile ottenerlo dalla banca ipotecaria: uno scaricabarile.

Il lavoro c’era ma andavamo in affanno. Dai soldi che si incassava si pagavano le urgenze e si rimandava il resto. Siamo stati operai ed è giusto che a fine mese l’operaio venga pagato, ma fummo costretti a ritardare di pochi giorni gli stipendi e giustamente i dipendenti si lamentavano ed il loro rendimento calava. Le ore lavorative servivano non a produrre ma a discutere e, a noi, ad andare in giro a trovare soldi dai clienti che ritardavano i pagamenti o a chiedere acconti. Poi per un fido «ingessato» cioè su un conto poco movimentato e al limite (anche per insoluti di clienti) una banca dopo la lettera per il rientro ci mise a sofferenza. La sofferenza, che in poche parole è l’anticamera del fallimento, perché per effetto delle norme di Basilea 2, le altre banche non possono nemmeno aprirti un conto corrente.

Quindi nessuno ti può aiutare, come se un ammalato va in ospedale e gli rispondono, vai a casa ed aspetta che muori. Non ci siamo mai arresi, abbiamo cercato tutte le vie possibili, anche illusi da pubblicità, spot televisivi, annunci di giornali, convegni, fondo di garanzia eccetera. Perdite di tempo. Un conoscente ci consigliò di rivolgerci ad un’associazione antiusura. Facemmo la richiesta, venne approvata, ma portarono la delibera presso la banca che gestisce i fondi e questa negò l’erogazione. Il prestito era garantito all’80 per cento, quella era una banca con cui noi avevamo avuto rapporti in passato e quindi il suo 20% la banca non lo voleva rischiare. L’associazione ci consigliò di rifare la domanda, non come ditta, ma come persone fisiche, ma non avendo la busta paga, la musica era la stessa. Successivamente ci recammo presso la nostra associazione. Ci dissero: «fatela la domanda ma perdiamo solo tempo e soldi per documenti perché le banche che sono nostre concessionarie le bocciano quasi tutte le pratiche». Eppure non avevamo protesti e proprietà molto superiori alle esposizioni. Così, ci siamo recati in Prefettura, siamo stati ricevuti sinceramente con professionalità dagli addetti che con competenza ed intelligenza, ci diedero fiducia dicendoci di rivolgersi all’associazione e fare istruire la pratica dicendo di tornare da loro se non veniva accolta, perché avrebbero informato l’Alto commissario governativo, visto che c‘erano protocolli sottoscritti. Ritornammo dall’associazione e ci risposero che perdevamo solo tempo. In Prefettura, per nostra scelta, non siamo più ritornati.

CONCLUSIONI Se un ammalato non lo si cura in tempo, purtroppo poi inevitabilmente arriva la fine, solo un miracolo può salvarti. Siamo all’assurdo, non si aiutano le aziende e poi si aiutano gli operai perché hanno la busta paga dai titolari di aziende. Alla fine a pagare siamo tutti, a partire dagli operai che piano piano uno alla volta sono stati licenziati. Siamo ritornati indietro di 25 anni. Vi raccontiamo questa storia perché oggi possiamo alzare la voce, perché rispetto a una fine annunciata, siamo stati miracolati, nel senso che siamo riusciti a vendere dei beni e si può ripartire. Vogliamo dare un consiglio alle piccole e medie imprese che hanno problemi di accesso al credito, di non prendersela con i politici che non funzionano, ma con loro stessi che criticano i politici che hanno votato. Creare consorzi, collaborare, trattare tutti insieme, perchè da soli si combatte con i mulini a vento. Se una banca non vi aiuta, ditelo ai vostri genitori, familiari, parenti, amici, che hanno risparmi in quella banca, di spostarli, perchè come c’è la raccolta ci devono essere gli impieghi nell’ambito del territorio. Svegliatevi, le leggi ci sono ed i fondi pure, si parlava della Banca del Sud, oggi è una realtà chiedetela a voce alta, perchè finchè la gestione sarà come detto prima, le cose non cambieranno mai. Per quale motivo la banca, che è un’impresa, dovrebbe darci quei fondi a tasso agevolato quando li potrebbe gestire diversamente guadagnandoci di più? Quindi, a nostro avviso, solo quando questi fondi saranno gestiti dalla Banca del Sud, cioè una «banca neutrale » si parlerà di realtà di accesso al credito, di ripresa economica e di lavoro per tutti.


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